Lavaggio del cervello come si riconosce questa pratica

Alcuni soggetti cercano di manipolare la gente prendendo il loro controllo mentale, mettendo in atto un vero e proprio lavaggio del cervello. Questo termine è stato coniato per la prima volta dal giornalista americano Edward Hunter, negli anni Cinquanta, per denunciare il trattamento dei soldati americani nei campi di prigionia cinesi. Una pratica attuata nel corso della Guerra di Corea applicando delle tecniche precise.

Si tratta di alcuni metodi citati a partire dal Libro dei morti dell’Antico Egitto. In genere, questi sistemi di controllo mentale li impiegavano soggetti quali: dittatori, veggenti, leader di sette, società segrete. Ma ricorrono al lavaggio del cervello anche coloro che cercano di sfruttare a proprio piacere gli altri e così manipolarli.

La capacità di attuare queste tecniche parte dalla comprensione della psiche umana, da gestire per il proprio tornaconto. Solo capendo questo tipo di meccanismo di abuso ci si può difendere. Anche se di solito a subire tale atteggiamento sono dei soggetti vulnerabili e fragili. Infatti si prendono di mira soprattutto le persone più deboli, o che affrontano delle situazioni di radicale cambiamento o traumatiche. Sono prede facili i giovani come gli anziani, le persone sole, chi ha subito un lutto oppure una separazione dolorosa. Ma anche i soggetti colpiti da malattie croniche.

Lavaggio del cervello: il caso degli adepti delle sette

In genere chi attua la pratica di prendere il controllo mentale su un altro individuo parte dal conoscere la sua preda. Quindi acquisisce tante informazioni sulla persona presa di mira. Grazie a tale tattica si conosce meglio il suo modo di pensare e la condizione in cui vive. Inoltre, come tattica predatoria si crea un completo isolamento della vittima, così da aumentare la sensazione di solitudine che di solito già vivono i soggetti. Basti pensare al caso dei nuovi adepti di sette o dei prigionieri di un campo di lavoro. Ai quali non si consentono contatti con gli altri, ma anche con la famiglia e gli amici.

Questi manipolatori cercano sempre di dimostrare la propria superiorità rispetto alla vittima. Per tale motivo cercano sempre di intaccare la sua autostima, attraverso una continua opera di distruzione. Solo dopo aver annullato la preda come persona, si può plasmarla a proprio piacere. Per fare questo si usano meccanismi di demolizione sul piano fisico, emotivo e mentale.

Spesso la preda subisce come violenze mentali degli atti intimidatori e minacce attraverso parole e gesti. Anche le molestie di tipo emotivo sono un comportamento del lavaggio mentale. Si tratta di insulti verbali, atti di persecuzione e di bullismo. Inoltre i manipolatori sono disposti ad infierire fisicamente sulla preda.

I soggetti esperti nel prendere il controllo sugli altri convincono le vittime ad aderire ad un gruppo per isolarli. Così li lusingano offrendogli un luogo alternativo da frequentare per manipolarli meglio. Spesso si creano contatti con altre vittime, come nel caso delle sette. In questo contesto di partecipazione e vita collettiva si subisce una continua pressione ed un processo di omologazione. Infatti, si segue un preciso decalogo fatto anche di ripetizioni di slogan che accentuano dei messaggi chiave.

Tecniche per prendere il controllo mentale

Una delle tecniche di manipolazione mentale consiste nel non lasciare alla vittima il tempo di pensare. Quindi non si deve mai lasciare da sola, e la si deve esporre ad un costante martellamento del proprio modo di pensare. In modo da crea un tipo di mentalità conflittuale nei confronti degli altri, in difesa del leader di una setta o del proprio predatore. Così si ottiene la sua piena obbedienza. Una base essenziale per riuscire a sfruttare il manipolato, ottenendo da lui denaro ed ogni forma di riverenza.

Dopo aver ottenuto una cieca e totale obbedienza, il soggetto manovrato può essere rieducato. Nelle sette i nuovi adepti affrontano un periodo di soggiogazione. Durante il quale si completa la fase di controllo su mente e corpo delle vittime. Anche in altri contesti si raggiunge un’obbedienza estrema, come nel caso della sindrome di Stoccolma. Che si esplica con la volontà di soddisfare i propri carnefici, dopo aver subito il salvataggio. Così le vittime finiscono per identificarsi con i sequestratori oppure provano dei sentimenti per loro.

Nel corso della fase di rieducazione, si usano le stesse tecniche di condizionamento impiegate per premiare e punire la vittima, quando si attua la sua distruzione. Come conseguenza quando si hanno risposte positive da parte del manipolato si concedono delle ricompense. Mentre le sue reazioni subiscono delle punizioni. Inoltre i manipolatori esaminano il livello di controllo esercitato sugli altri. Così lo si verifica in diversi modi, per poi esaminare i risultati. In alcuni casi, alla vittima si sottraggono dei soldi oppure è costretta a commettere atti criminali, con il manipolatore o per lui.